60 secondi di psicologia
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come nasce un'idea
60 secondi di psicologia
Io fui…
Mi piace sempre iniziare con questo passato remoto, quando parlo di me, perché mi dà la sensazione non tanto della quantità di tempo che è passata dal mio inizio, ma dell’intensità del tempo vissuto che mi ha permesso di mutare in tante forme, quasi di cambiare tante vite.
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Ebbene sì, perché quello che scrivo o racconto con i miei sessanta secondi sono il prodotto delle mie tante vite.
Perché io fui una bambina libera, libera nel suo concetto più ampio, all’interno del verde più verde dell’Umbria, in una casa circondata da prati, senza alcuna recinzione se non quella dei cavalli.
Il mio gioco preferito era arrampicarmi sugli alberi, la mia casa era circondata da imponenti e bellissimi Ciliegi, e il gioco non era semplicemente starci sopra, ma ogni giorno trovare un nuovo percorso, tra i rami, per arrivare più in cima possibile. Insomma mia mamma quando l’estate si affacciava a cercarmi non lo faceva guardando in strada, ma tra i rami e le foglie.
Ero una bambina silenziosa, riflessiva, ma molto molto intuitiva, e avevo imparato a non parlare, o meglio avevo imparato un altro modo di comunicare, con mia sorella, una ragazza down.
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Con lei non servivano parole, ci capivamo benissimo.
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Avevamo uno stile un po’ diverso di vita, uno stile che mi faceva essere diversa, e la diversità in casa mia non è mai stato un problema, anzi è sempre stata la nostra normalità.
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Tuttavia qualcosa cambiò quando iniziai a sbattere con il mondo davvero ‘normale’, ovvero quando iniziai ad andare a Scuola.
Tra i primi ricordi che ho della Scuola c’è quello dell’insegnante di Matematica che in Terza elementare iniziò a farmi lavorare separata dagli altri, sulla cattedra, o a interrogarmi in continuazione… Perché?
Perché rispondevo molto in fretta, troppo, ai problemi che lei poneva. In teoria non sarebbe dovuto essere un problema, anzi. Eppure pare che lo fosse per un unico motivo: ero la figlia di un operaio e non era possibile che fossi così intelligente.
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Questo fu il primo battesimo con la Scuola.
Eppure continuai, con il mio silenzio e la mia ostinazione, che oggi immagino trapelassero. A Scuola avevo buoni voti, ma non la amavo; c'era la Ginnastica artistica a cui pensare e mi piaceva dedicarmi ai miei alberi, ai miei animali, alla mia natura, alla mia casa.
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Poi arrivai alle Medie e lì successe qualcosa.
La mia curiosità iniziò a prendere il sopravvento. Iniziai ad appassionarmi di Storia e Letteratura; la Ginnastica artistica mi insegnava la disciplina, mi insegnava come si raggiungono gli obiettivi, ma a quel punto volevo sapere.
In Prima media alla domanda dell’insegnante di Italiano se avevamo già un’idea su quale Scuola avremmo voluto prendere dopo le Scuole Medie, io risposi immediatamente, perché sono sempre stata un po’ troppo sicura delle mie scelte, e dissi che avrei preso il Liceo Classico.
Lì iniziò un’altra battaglia che come bambina non avrei compreso e forse ancora oggi rimane in sospeso; quella stessa insegnante iniziò ad ostacolarmi in ogni modo sempre perché… la figlia di un operaio non può prendere il Liceo Classico.
Ero una bambina silenziosa, odiavo essere un dolore o una preoccupazione per i miei che vedevo già tanto presi da una vita non proprio facile; papà era un operaio e mia mamma una casalinga, che aveva lasciato il lavoro dopo la nascita di mia sorella.
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Insomma tenevo le cose per me.
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In Italiano non ero brava, ero troppo intuitiva e sintetica, i temi di Italiano saranno il mio cruccio fino alla fine del Liceo, troppo sintetica (ma molto molto brava a dire un concetto in 60 secondi, ad esempio).
La sufficienza era scarsa e l’insegnante mi interrogava di continuo e di continuo chiamava mia madre per dirle che ero un disastro e che non sarei mai arrivata da nessuna parte.
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Ricordo ancora il suo dolore.
Insomma, tre anni che posso definire di mobbing e che si conclusero con l’insegnante che non mi volle valutare il tema di Italiano per farmi passare con il voto più basso, per farmi arrivare con umiliazione al Liceo. E invece gli altri professori, fortunatamente, non lo permisero e così passai con il voto che mi spettava.
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Ricordo di quel tempo un incidente che ebbe mio padre con il camion, due vertebre fratturate, il rischio di rimanere su una sedie a rotelle, poi il recupero dopo sei mesi di gesso immobile a letto… la perdita del lavoro, con una famiglia sulle spalle (quel senso di ingiustizia che cominci ad appendere così presto).
Approdai cosi al Liceo Classico che tutt’oggi e ogni giorno ringrazio, per la classe che trovai ma ancor più per tutti gli insegnanti che ebbi in quella strada e che divennero i miei riferimenti su cui ancora oggi faccio capo.
Venivo da una piccola Scuola di paese, mi ricordo di essere partita davvero molto indietro rispetto ai miei compagni, ma in casa venivo educata alla disciplina, all’impegno e alla costanza e così piano piano riuscii a costruire il mio percorso che divenne eccellente.
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Intanto scoprii che la mia voce silenziosa faceva bene e che le mie amiche mi chiamavano per rilassarsi.
Finii il Liceo, ma il mio voler sapere no, così scelsi la Facoltà di Filosofia. Iniziai a Pisa, ma il mio trasferimento fu troppo forte per mia sorella, avevamo in casa dei legami molto forti ed equilibri che dipendevano da questi legami, e così decisi di tornare a studiare a Perugia dove mi sarei sentita anche meno in colpa verso i miei genitori, visto i costi che dovevano sostenere.
La Filosofia era la mia dimensione, studiavo, amavo quel che studiavo mentre però lavoravo; lavoravo più che potevo. Iniziai subito a fare la cameriera. Facevo più servizi possibili, lavoravo tutte le sere. Presi dei brevetti per insegnare qualche sport; l’estate insegnavo nuoto e il pomeriggio, a volte la mattina, facevo dei servizi anche in un bar; l’inverno in una palestra. Il tutto senza lasciare mai indietro un esame perché mio padre altrimenti mi avrebbe fatto smettere di lavorare. Per lui era fondamentale che studiassi, ma conosceva il mio bisogno di indipendenza e allora mi teneva concentrata.
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Mi laureai con qualche mese di anticipo.
Ero una ragazza strana, diversa, nel senso che vivevo con difficoltà la socialità. Sentivo sempre tutto troppo e questo mi faceva faticare quando stavo in mezzo alla gente, oltre il fatto di avere sempre la sensazione di essere inadeguata; quindi facevo una vita fatta di studio e lavoro.
In quel tempo mi fidanzai per la prima - e unica - volta, poiché quell’uomo più grande di me diventò poi mio marito. Mi sposai lo stesso anno in cui mi laureai.
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Questo è il mio più grande cruccio: il mio matrimonio, con la persona sbagliata.
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Nacquero le mie meraviglie, i miei figli, che credo siano davvero la cosa più bella che ho fatto per questo mondo; ma le difficoltà si fecero sentire… ero una ragazza con tanti sogni, volevo ancora studiare, ma i miei sogni non erano concepibili per mio marito.
In ogni caso, l’anno successivo, incinta del mio primo figlio, feci il Test di ammissione a Psicologia, sostenuta sempre dai miei genitori, anche economicamente, perché il mio ex marito, seppur benestante, non concepiva questa mia scelta.
Ebbi accesso alla Facoltà, nacque il mio bambino e l’anno successivo ero già in attesa della seconda. Intanto non lavoravo, avevo pochissima disponibilità economica perché mio marito non mi sosteneva.
Cominciò a diventare difficile anche per la sua estrema gelosia… ma io ero una ragazza silenziosa e ostinata.
Iniziai a scoprire i Social, studiai materie che avevano a che fare con la Comunicazione, iniziò ad affascinarmi questo mondo dove mi buttai con entusiasmo.
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Iniziai a scoprire che la mia incredibile capacità di sintesi in questo mondo era utilissima.
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Mi laureai, lasciai mio marito - ero senza lavoro - e iniziò così la guerra che tutt’oggi lui porta avanti per non aver accettato la mia scelta. Una guerra che ha tra i due fuochi i miei bambini, che cerco di proteggere in tutti i modi.
Diventai Psicologa, iniziai la scuola di Psicoterapia, mi ammalai, un tumore al seno.
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Sì perché ci si ammala quando si vive nel dolore e nella paura costante.
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Ma dalla malattia imparai qualcosa, anzi, direi che imparai molto, e iniziai a trasformare le mie battaglie in possibilità di aiutare gli altri.
Diventai Psicologa giuridica per aiutare, ad esempio, i genitori a ridurre un conflitto o proprio le persone che si ammalano di tumore.
E poi gli amici iniziarono a dirmi di fare dei video: 'sei talmente brava a parlare'.
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Raffaella insistette e poi Maurizio. Ero al telefono con lui quando dissi: “Se li faccio li devo fare molto brevi tipo due minuti, ma anche uno, sessanta secondi, ecco sì: 60secondidipsicologia…”
E così ho iniziato.
Sarà sempre Maurizio a spronarmi: 'fai Tiktok'.
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Sarà Federico invece che mi aiuterà a farli diventare prima un libro, poi un'Agenda.
Sono due frasi di mio padre che mi guidano nella vita: “Ci saranno sempre i soldi per un libro” e “Se un operaio può far studiare una figlia, le fa studiare Medicina o Giurisprudenza; farle studiare Filosofia è un lusso e io mi sono permesso questo lusso”.
Vi ho raccontato qualcosa di me, per dirvi che dalle ferite entra la luce, quello che trovate scritto e detto nei miei 60 secondi è una bella commistione tra i miei pensieri, il mio sentire, quello che trovo in giro nella Rete, quello che leggo nei miei libri.
Tutto sempre con l’unico obiettivo di dare speranza, di aiutare con una vicinanza seppur virtuale.
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