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DALL'EGOCENTRISMO INFANTILE ALL'EGOCENTRISMO GENITORIALE

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Aggiornamento: 26 nov 2024

LeIl titolo di questo articolo è una frase di Henry Taylor. Un ragazzo che riesce a compiere un atto forsennato quale assassinare i propri genitori è da considerarsi semplicemente un bambino viziato? Forse no, o forse sì. Una cosa che sappiamo per certo è che alla base di ogni delitto ad alto contenuto emotivo, qual è anche quello mosso da un figlio versus il genitore, date le intense e ingovernabili emozioni che lo determinano, vi sono sempre e certamente odio e rabbia. Perché la violenza ha sempre alla base una mala gestione emotiva. Ma quando questa si ritorce contro lo stesso nucleo di origine vi è qualcosa di più spietato seppur, a mio avviso, perversamente logico.

Quando pensiamo ad un bambino viziato, l’immagine o l’immaginario che si apre è quello di un bambino pieno di giochi e di cose, un po’ insoddisfatto dei medesimi e delle medesime, imbronciato e/o tendente alla bizza e ad arrabbiarsi facilmente. Un bambino che richiede totale attenzione, che non riesce a limitare il suo spazio, che non ha un suo spazio, ma che ogni spazio è suo. Che non ha, insomma, un confine, un limite. "Ho bisogno del mio spazio", disse una mamma in seduta con me mentre la sua bambina di quattro anni la interrompeva continuamente rispondendole: "Hai bisogno anche del mio". Mi aveva colpito incredibilmente la risposta di questa bambina, che con piglio e arroganza aveva detto una tale e veritiera affermazione. È vero, fondamentalmente quella mamma non stava riuscendo nel permettere il processo di separazione da quella dimensione simbiotica con la propria figlia, dimensione che caratterizza la nascita di qualsiasi essere umano, e la bambina manifestava con iperattività e aggressività sia il bisogno che l’insofferenza di quel legame.

Si dice che il lavoro dei genitori sia, fondamentalmente, un lungo addio. È vero! È un lungo addio che si compone di definizione e determinazione, ovvero che lentamente, attraverso la distinzione (la differenziazione dall’altro), permette al figlio di costituire sé stesso arrivando all’autodeterminazione, ovvero al divenire adulto. La crescita è quindi la costruzione di confini e limiti, che presuppongono distanza e allontanamento, attaccamento sì, ma con riconoscimento di sé e dell’altro come esseri di-versi. Sembra un processo complesso, in realtà è molto naturale e soprattutto è un’esperienza autentica d’amore. Quando questo processo non viene permesso, o concesso, quando il nucleo familiare cioè non permette auto definizione perché non riesce a concepire il figlio come un essere a sé stante, distinto, ma lo rende solo un escrescenza del proprio sé e della propria soddisfazione narcisistica, allora è l’esperienza d’odio e di aggressività che la fa da padrone nella crescita di quel figlio. Poiché quel figlio non si sente amato. Poiché quel figlio non è stato riconosciuto. E per questo odierà. Il bambino viziato è espressione di questa dinamica. “Chi non usa il bastone non ama suo figlio, ma chi l’ama si affretta a rimproverarlo.” (proverbi 13:24). Così è scritto nella Bibbia, la pedagogia moderna demonizza il bastone, ovviamente, ma ha perduto così del tutto la capacità e il senso del rimprovero. Perché il no, il bastone, è il limite (anche simbolico), è la regola che contiene e di cui qualsiasi essere vivente, e ancor più un essere umano, ha bisogno per far confluire l’energia vitale nella costruzione di un’identità personale e sociale. Quando questo non è agevolato dal proprio contesto, il ragazzo userà sì tutta la propria energia per determinare se stesso, ma distruggendo l’altro per sentirsi riconosciuto (altro che potrà essere il coetaneo della gang nemica come, nel caso più estremo, il genitore stesso).

A-mors, amore è assenza di morte, morte è assenza di vita; quando il vissuto di amore manca, si vive di distruzione e di autodistruzione poiché non si può fiorire ma solo morire. “Se le scimmie ci hanno insegnato qualcosa è che si deve imparare ad amare per imparare a vivere” (Harry Frederick Harlow, psicologo noto per le ricerche sull’affettività). Il vissuto di amore autentico: essere amato nel proprio stesso essere, limitato e distinto, visto e riconosciuto nella propria assoluta originalità è garanzia di benessere. L’adolescente combatte per distinguersi e conquistare questa assoluta originalità, forse lo sappiamo, ma sappiamo un po’ meno che il neonato inizia a farlo già dai primissimi giorni di vita: combattere per la determinazione di un ‘Io’, il suo. Come? Imparando il contenimento e l’autoregolazione emotiva. Questo garantisce il limite, che invece quel ragazzo che violentemente aggredisce, quel limite non l’ha mai sperimentato - né tantomeno un contenimento - e lo cerca al di là di ogni comprensibile ragione. Perché le emozioni esigono educazione e regolazione, ma la regolazione delle emozioni, avviene solo grazie alla co-regolazione, cioè attraverso il lavoro di sintonizzazione e contenimento con un altro adulto (il caregiver, il genitore). Se il caregiver non fa questo, se non costruisce argini, quel fiume strariperà e la devastazione che provocherà sarà proporzionale al tempo di assenza di questo lavoro di contenimento.



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